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Sentenza

Il Tar Sicilia nega la nomina a ministro di culto del movimento chiese cristiane...
Il Tar Sicilia nega la nomina a ministro di culto del movimento chiese cristiane evangeliche nuova pentecoste.
Cons. giust. amm. Sicilia, Sent., (ud. 08/05/2019) 24-06-2019, n. 585
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 774 del 2015, proposto da N.C., rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Lino, Alberto Fossati, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio Lino in Palermo, via Libertà,171;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio territoriale del Governo con sede in Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Villareale n. 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sez. Prima) n. 184/2015, resa tra le parti, concernente diniego istanza per ottenere la nomina a ministro di culto del movimento chiese cristiane evangeliche nuova pentecoste;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 8 maggio 2019 il Cons. Giambattista Bufardeci e uditi per le parti l'avv. Maurizio Lino anche su delega dell'avv. Alberto Fossati, e l'avv. dello Stato Maria Gabriella Quiligotti;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. N.C. impugna in appello la sentenza resa dal TAR Sicilia, sez. Palermo, n.184/2015 con la quale è stato respinto il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Interno, Prefettura di Palermo, per l'annullamento, previa sospensione:

- del decreto del 20/1/2010, notificato brevi manu in data 24/2/2010, con il quale il Ministro dell'Interno ha denegato l'istanza del ricorrente diretta all'approvazione governativa della nomina a ministro di culto del Movimento Chiese Cristiane Evangeliche Nuova Pentecoste per le comunità della chiesa Eben-Ezer di Palermo e di Trapani;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.

Gli atti impugnati hanno negato il conseguimento dell'approvazione governativa della nomina del C. a ministro di culto del "Movimento C.C.E.N.P." per le provincie di Palermo e di Trapani.

2. Il Tribunale ha disatteso le censure del ricorrente, incentrate sull'assenza, in capo alla P.A., di un potere discrezionale di valutazione della personalità del richiedente e, comunque, la non conducenza degli elementi nella specie valorizzati a sostegno del diniego (nominatim risalenti

precedenti penali per emissione di assegni a vuoto ed evasione fiscale; vincolo di affinità con soggetti condannati in via definitiva per vari reati, uno dei quali rimasto vittima di attentato di chiara matrice mafiosa; vincolo di affinità del fratello - pure egli pregiudicato per vari reati -- con soggetti condannati per gravi reati, fra cui la associazione mafiosa), ritenendo che l'art. 3 della L. n. 1159 del 24 giugno 1929 parla di "approvazione" del Ministro dell'Interno e che, per maggioritaria opinione dottrinale, l'istituto dell'approvazione implica uno scrutinio della Amministrazione esteso al merito della richiesta, del resto implicitamente richiamato dall'art. 21, comma 1, del R.D. n. 289 del 28 febbraio 1930, attuativo della legge stessa ("Gli uffici per gli affari di culto, assunte le altre informazioni necessarie per completare l'istruttoria e sentito il Prefetto della provincia in cui il ministro del culto esercita il suo ufficio, trasmettono gli atti al Ministero dell'Interno").

3. Il ricorrente, dopo avere riassunto nel suo atto di appello il merito del ricorso di primo grado, ha riproposto, in maniera critica rispetto alla sentenza impugnata, gli stessi motivi fatti valere nel giudizio di primo grado insistendo in particolare sulla violazione e falsa applicazione della L. n. 1159 del 24 giugno 1929, dell'art. 21, comma 1, R.D. n. 289 del 28 febbraio 1930, dell'art. 111, comma 6, e dell'art. 84 della Costituzione sul buon andamento dell'attività amministrativa, sull'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, per sviamento.

4. L'Amministrazione, costituitasi tramite l'Avvocatura distrettuale dello Stato, ha contestato i motivi d'appello chiedendone il rigetto.

4.1. All'udienza dell'8 maggio 2019 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

5. Il Consiglio ritiene che l'appello sia fondato.

Invero il decreto di non approvazione, così come il "prediniego", si limita ad affermazioni sostanzialmente apodittiche prive di una vera e compiuta specifica motivazione quali:

"l'istruttoria ha avuto esito negativo", "che questa Amministrazione nell'ambito della sua valutazione discrezionale, non ritiene che al sig. C.N. possa essere rilasciata l'autorizzazione all'approvazione della nomina per la celebrazione dei matrimoni, ai sensi ell'art.3 della L. n. 1159 del 1929", "quanto meno nella verifica della personalità morale di colui che nominato ministro di culto; in tal senso l'art. 21 R.D. n. 289 del 1930 e parere del Consiglio di Stato nell'adunanza del 2/2/1995"

Le suindicate generiche affermazioni poste a base della motivazione del provvedimento impugnato si basano su una istruttoria che è consistita nell'informativa delle Prefetture interessate che hanno espresso il loro parere sfavorevole per il mero fatto che il ricorrente ha subito due condanne penali per due reati risalenti nel tempo - per uno dei quali è intervenuta la depenalizzazione e per l'altro il ricorrente ha ottenuto la riabilitazione - e per avere rapporto di parentela con soggetti (cognati) pregiudicati anche per reati gravi.

Il Ministero prima ed il TAR poi hanno ritenuto quindi che tali suindicate vicende siano elementi idonei a fondare il diniego, limitandosi a valutare come elementi ostativi solo fatti compiuti rispettivamente 35 e 26 anni fa.

Tale assunto non è condivisibile essendo evidente che l'istruttoria svolta è stata del tutto insufficiente ed approssimativa.

Le Prefetture in questione, in ossequio a quanto richiesto dalla giurisprudenza al fine di formulare un giudizio completo, avrebbero dovuto infatti operare una ricognizione completa e specifica sulla effettiva condotta di vita del C..

La difesa dell'appellante al riguardo muove condivisibili censure rilevando che dai certificati penali del casellario giudiziale nulla risultava a carico del C. e che i due precedenti penali afferiscono a fatti assai remoti e precisamente: reato di emissione nel 1977 di assegni scoperti, oggetto di amnistia nel 1978 e depenalizzato nel 1999; violazione negli anni 90 delle norme sulla repressione dell'evasione fiscale in materia di IVA e di IRPEF per il quale il ricorrente ha ottenuto la riabilitazione.

Al riguardo si rileva che, per quanto attiene alla emissione di assegni a vuoto, la derubricazione dell'illecito da penale ad amministrativo ha comportato da parte del legislatore una diversa considerazione circa la gravità dell'illecito commesso al punto da mutarne la natura e tale circostanza doveva essere tenuta in considerazione ai fini della formazione del giudizio.

Per quel che attiene alla violazione delle norme sulla repressione dell'evasione fiscale in materia di IVA e di IRPEF si osserva che per tale illecito il C. ha ottenuto la riabilitazione, istituto che ai sensi dell'art. 178 c.p. esige che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta ed al riguardo il Tribunale di sorveglianza di Palermo con ordinanza del 21/5/2013 così si esprime: "ha adempiuto a tutti gli obblighi dipendenti dalla/e condanna/e suddette (in tal senso, ad oggi non risultano più debiti nei confronti dell'erario, come da certificazione dell'Agenzia delle Entrate del 14/03/2013) e letto l'assenza di pendenze giudiziarie ed i rapporti delle Autorità di P.S. da cui si evince che il suddetto, dopo la condanna e comunque negli ultimi tre anni ha tenuto una condotta di vita regolare, dando prova di effettiva e costanza buona condotta".

La valutazione posta a base della riabilitazione ha una chiara natura sostanzialistica volta ad accertare la buona condotta del condannato protratta nel tempo ed è proprio questa la condizione del ricorrente della quale, però, il Ministero non ha tenuto alcun conto.

Anche la circostanza dell'affinità parentale con soggetti pregiudicati non poteva essere assunta "a priori" a motivo ostativo.

Invero, il legame di parentela o affinità con soggetti pregiudicati rileva solo se comprova la permeabilità e inaffidabilità del soggetto e non di per sé solo.

Giova ricordare in tal senso Corte Cost. n. 108 del 1994 e n. 391/2000 rese sull'art. 26 L. n. 53 del 1989 e sull'art. 124 R.D. n. 12 del 1941, secondo cui le condanne penali dei parenti e affini non sono di per sé sole ostative dell'accesso ai pubblici impieghi (v. anche Corte Cost. n. 440 del 1993 e n. 311/1996).

Una adeguata istruttoria poteva rivelarsi un elemento dimostrativo dell'estraneità dell'interessato a tale ambiente o viceversa della permeabilità ad esso.

Dalle informative delle Questure e delle Prefetture, invece, è emerso solo il fatto dell'affinità senza che sia stato rilevato nulla come comportamento o circostanza riprovevole.

Il Ministero però non ha tenuto in nessun conto anche tali fatti laddove, invece, l'uso del potere di apprezzamento dell'Amministrazione, vertendo sulle qualità morali del soggetto, necessitava di una valutazione in concreto del suo percorso di vita complessivo. Questa approfondita verifica è del tutto mancata nell'istruttoria ministeriale che anche per questo è da considerare assai lacunosa.

La norma da applicare ai fini del rilascio o meno dell'approvazione in questione è l'art. 21 del R.D. n. 289 del 1930 che al comma 1 assegna ai Prefetti il compito" di fornire, attraverso idonea istruttoria, le informazioni sulla persona, utili allo scopo di una valutazione della personalità del soggetto che deve essere idoneo a svolgere una funzione da cui scaturiscono effetti civili (Cons. St., sez. I n.2758/2009).

Nella fattispecie, nessun esperimento istruttorio è stato effettuato, nessuna acquisizione documentale, nessuna informazione è stata acquisita presso altre amministrazioni pubbliche, specie nei comuni dove l'attività pastorale del ricorrente è stata ed è tuttora svolta, né presso altri enti privati.

Tutto ciò rende il comportamento dell'Amministrazione vieppiù illegittimo in quanto l'appellante ha prodotto corposa documentazione attestante la sua qualità morale ed il valore etico-sociale

del suo impegno nella comunità religiosa di cui è responsabile. Il C. ha prodotto vari attestati al riguardo, ad esempio quelli della Associazione A.M., della Associazione "E.E.", dell'Avis di Villabate, dei Sindaci di Villabate e di Ficarazzi, della Federazione delle Chiese Pentecostali, dal Centro Studi Culturale "Palamento della legalità" di Roma, ma né le Questure né Prefetture suindicate si sono preoccupate di verificare tali attestazioni, né di assumere le informazioni necessarie ad acquisire concreta conoscenza dell'attività svolta dal ricorrente i cui comportamenti erano facilmente accertabili attraverso le normali informative delle forze dell'ordine. Il C. ha, altresì, prodotto varie testimonianze, attestanti la sua buona condotta di vita ed il suo comportamento corretto, rese tra l'altro da appartenenti alla Stazione dei Carabinieri di Villabate, dal Presidente dell'Associazione nazionale "Verità scomode", dalla emittente televisiva antimafia "Telejato 172 digitale terrestre" ma anche su tali atti l'Amministrazione non ha svolto alcun approfondimento utile ad una compiuta attività istruttoria.

I suindicati fatti evidenziano la sussistenza del difetto di istruttoria dedotto dal ricorrente e conseguentemente, alla luce anche delle superiori considerazioni, questo Consiglio ritiene che l'appello sia fondato ed in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori atti dell'Amministrazione resistente.

Sussistono comunque giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese in relazione al doppio grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento impugnato.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Hadrian Simonetti, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Giambattista Bufardeci, Consigliere, Estensore

Elisa Maria Antonia Nuara, Consigliere
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Avv. Antonino Sugamele

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