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Sentenza

Nozione di pertinenza ai fini edilizi e differenza con la pertinenza di derivazi...
Nozione di pertinenza ai fini edilizi e differenza con la pertinenza di derivazione civilistica.
Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 15-07-2021) 23-09-2021, n. 6438

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4646 del 2020, proposto da I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Muzi, Angelo Ravizzoli, Rossana Colombo, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Muzi in Roma, viale Regina Margherita, 42;

contro

Comune di Bagnolo Mella, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Rolfo in Roma, via Appia Nuova n. 96;

per la riforma

della 4 maggio 2020, n. 320 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, Sezione Prima

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagnolo Mella;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2021 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Domenico Bezzi, in collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 4, comma 1, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams" come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.
Svolgimento del processo

1.˗ Il Comune di Bagnolo, con ordinanza 11 giugno 2013, n. 70 e ordinanza 17 luglio 2013, n. 85, ha ordinato ad I. s.p.a. (d'ora innanzi anche solo "Società") la demolizione, rispettivamente, delle seguente opere: i) un primo portico collocato in prossimità del confine est di proprietà e in aderenza al prospetto sud di un edificio esistente, avente una superficie coperta di circa 120,75 metri quadri, con uno sviluppo in lunghezza di circa 20 metri e in larghezza di circa 6,30 metri, un'altezza in colmo di circa 4,18 metri, suddiviso in due zone da un muro di recinzione realizzato al suo interno alto circa 2,18 metri e lungo 20 metri; un secondo portico più ampio realizzato ad est del confine di proprietà e in aderenza al prospetto est di un edificio esistente, avente una superficie coperta di circa 769,50 mq, con una lunghezza di circa 81 metri e un'altezza complessiva in colmo di circa 4 metri; ii) presenza nell'area industriale, oltre a diversi altri manufatti privi di titolo abilitativo, di un'autorimessa avente superficie coperta di 88,74 metri, lunghezza complessiva di 15.57 metri, larghezza di 5,70 mt e altezza complessiva in colmo di circa 2,46 metri, dotata di saracinesca con apertura elettronica, ubicata in prossimità del confine est di proprietà e quasi in aderenza al muro di confine con l'area di F.P. s.r.l.

2.˗ La Società ha impugnato tali ordinanze innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Brescia, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nella motivazione della presente sentenza.

3.˗ Il Tribunale amministrativo, con sentenza 4 maggio 2020, n. 320, ha rigettato il ricorso.

4.˗ La ricorrente di primo grado ha proposto appello.

4.1.˗ Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo, in via preliminare, che venga dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per la formazione del silenzio rigetto in relazione a domande di sanatoria proposte dalla Società. Nel merito si è chiesto che l'appello venga rigettato.

5.˗ La causa è stata decisa all'esito dell'udienza pubblica del 15 luglio 2021.
Motivi della decisione

1.˗ La questione posta all'esame del Collegio attiene alla legittimità delle ordinanze di demolizione descritte nella parte in fatto.

2.˗ L'appello non è fondato.

3.˗ Con un primo motivo l'appellante assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi i provvedimenti impugnati perché adottati senza avere assicurato le garanzie partecipative mediante la comunicazione di avvio del procedimento, che avrebbe consentito di "meglio dettagliare consistenza/caratteristiche/preesistenza e, soprattutto, l'accessorietà funzionale all'esistente, consentendo anche una diversa valutazione da parte dell'ufficio tecnico".

Il motivo non è fondato.

L'art. 7 della L. n. 241 del 1990 prevede l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento amministrativo nel caso in cui non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità.

L'art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241 del 1990 dispone, tra l'altro, che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

L'orientamento costante della giurisprudenza amministrazione è nel senso che, venendo in rilievo una attività vincolata, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento non determina invalidità dell'ordine di demolizione se il privato non adduce elementi probatori idonei a dimostrare, ai sensi del citato art. 21-octies, che se fosse stato garantito il contraddittorio procedimentale la determinazione finale avrebbe avuto un diverso contenuto.

Nel caso in esame, la società appellante non ha addotto, come risulterà anche dall'analisi dei successivi motivi, elementi in grado di dimostrare che l'eventuale partecipazione procedimentale avrebbe inciso sulla statuizione finale.

4.˗ Con un secondo motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati in ragione della natura pertinenziale delle opere contestate. In particolare, si assume che i "portici" avrebbero una finalità strumentale rispetto al fabbricato produttivo esistente, non avrebbero autonomo valore commerciale e non inciderebbero sul carico urbanistico.

Il motivo non è fondato.

L'art. 10 del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 prevede che occorre il permesso di costruire, tra l'altro, per gli interventi di nuova costruzione, nonché per gli interventi di ristrutturazione urbanistica.

L'art. 817 cod. civ. dispone che sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.

L'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 qualifica pertinenziali gli interventi "che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale".

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l'accezione civilistica di pertinenza sia più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia. In particolare, si è affermato che: i) "la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce"; ii) "a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto "carico urbanistico" proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale" (Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2019, n. 6576; Cons. Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5130; id., IV, 2 febbraio 2012, n. 615; Cons. Stato., V, 13 giugno 2006, n. 3490).

I suddetti requisiti devono sussistere contestualmente perché vi sia una pertinenza.

Nel caso in esame, a prescindere dalla effettiva sussistenza degli altri requisiti, è certo, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, che la rilevante dimensione degli interventi edilizi effettuati ha inciso sul carico urbanistico, il che è sufficiente per escludere la configurabilità di una pertinenza edilizia.

Si tenga conto, inoltre, del fatto che le opere realizzate - portici e autorimessa (su cui si v. successivo punto) - devono essere valutate unitariamente, risultando, nella specie, realizzato un complesso di interventi privi dei prescritti titoli abilitativi.

5.˗ Con un terzo motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati nella parte in cui non ha rilevato che "l'autorimessa (rectius: tettoia) preesiste da oltre trenta anni ed è parte di una più ampia tettoia". Inoltre, si sottolinea, l'opera in questione sarebbe stata "rappresentata in sede di precedenti pratiche edilizie, nonché negli atti dell'autorizzazione Aia".

Il motivo non è fondato.

L'autorimessa costituisce una nuova costruzione e, in quanto tale, ai sensi del sopra indicato art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è necessario il permesso di costruire. Le argomentazioni difensive, contenute nel motivo in esame, non sono conferenti, non rilevando né il tempo di realizzazione né la rappresentazione in precedenti pratiche amministrative, in quanto ciò che impedisce la valutazione di abusività è, in questo caso, solo la preesistenza di un precedente permesso di costruire.

6.˗ Con un quarto motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati nella parte in cui non hanno valorizzato l'interesse pubblico al mantenimento delle opere edilizie realizzate, considerato anche l'affidamento ingenerato nella società in ragione del fatto che si tratta di interventi edilizi che esistono almeno dal 1989. L'appellante richiama, a sostegno della censura, una concessione di servitù reciproca con il proprietario confinante relativa alla "tettoia" con richiesta al Comune del rilascio del permesso di costruire. Si osserva che sarebbe difficile che "la tettoia venga costruita senza un atto abilitativo e che il notaio certifichi che sia in corso la costruzione della stessa". Si afferma, inoltre, che la tettoria viene richiamata nell'ambito di un contenzioso civile relativo alla sussistenza di una servitù di sopraelevazione rispetto alla "linea di gronda del portico tettoia".

Il motivo non è fondato.

La Sezione rileva, in coerenza con l'orientamento giurisprudenziale consolidato, che l'ordine di demolizione, avendo natura di atto vincolato, contiene una motivazione adeguata se descrive gli interventi abusivamente effettuati, consentendo di individuare le specifiche opere che devono essere rimosse.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che anche quando sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell'abuso, non occorre alcuna particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e all'affidamento ingenerato nel privato. L'ordinamento tutela "l'affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem" (Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).

Nella fattispecie in esame, non era necessaria, pertanto, una motivazione che facesse riferimento all'interesse pubblico alla demolizione e all'affidamento del privato.

Il Collegio rileva, inoltre, come i richiami effettuati dall'appellante alla convenzione di servitù e al contenzioso civile non sono pertinenti, in quanto essi non possano di per sé giustificare la realizzazione di opere che necessitano di un permesso di costruire, che, nella specie, manca.

7.˗ In definitiva, per le ragioni sin qui indicate, l'appello deve essere rigettato, senza che sia necessario esaminare, da un lato, il motivo dell'appellante con il quale si cui si ritiene che non sia stata violata la fascia di rispetto di quattro metri dal canale irriguo, dall'altro l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado fatta valere dal Comune.

8.˗ La società appellante è condannata al pagamento, in favore del Comune costituito, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l'appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna la società appellante al pagamento, in favore del Comune costituito, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2021

Sergio De Felice, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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